La caccia alla pietra filosofale



Negli ultimi anni (con l’eccezione proprio del 2018) i mercati finanziari globali hanno goduto della generosa abbondanza di liquidità offerta dalle banche centrali mondiali. Alcuni sostengono che, spinte dalla ricerca della inflazione (dei prezzi al consumo), le banche centrali mondiali hanno finito invece per alimentare una inflazione dei prezzi delle attività finanziarie. Sia quel che sia, azioni e obbligazioni hanno cavalcato insieme il grande rally della liquidità. Poi, a fine 2017, il meccanismo si è in qualche modo fermato : la Federal Reserve ha cominciato ad asciugare parte della grande liquidità immessa nel sistema. Di fronte a questa prospettiva molti investitori hanno iniziato a ragionare : “ma se i mercati non saranno più sostenuti dalla grande liquidità, questo è il momento per passare a strategie di investimento che puntano ad un rendimento assoluto, sempre positivo, indipendente dalla performance dei mercati”.  Alla domanda degli investitori il mercato ha risposto con prontezza : più o meno tutti i grandi gestori internazionali hanno iniziato a spingere  prodotti di tipo “absolute return” (a ritorno assoluto) : prodotti che puntano, sfruttando strategie di vario genere, ad offrire performance comunque positive indipendentemente dall’andamento dei mercati.
Si tratta nella gran parte dei casi di prodotti con una storia recente di rendimenti sempre positivi, apparentemente poco correlati con la performance dei mercati. Pilotati da gestori che hanno a quanto pare trovato la pietra filosofale dell’investimento.

Perlomeno fino a questo difficile 2018. Per aiutarci nella analisi riprendiamo la tabella (usata in un post precedente)  con le performance annue delle diverse categorie di investimento.

Ecco qua.


Per ogni anno (colonna) sono riportate le principali “asset class” (cioè le categorie di investimento) ordinate dal basso verso l’alto in base al rendimento che hanno offerto nell’anno. Le asset class in verde hanno offerto un rendimento positivo, quelle in rosso invece hanno perso.

In giallo è evidenziata la performance dei prodotti “absolute return” (si tratta della media di un campione rappresentativo di prodotti che dichiarano questa strategia).
In effetti la storia degli ultimi 11 anni mostra che in 9 anni su 11 le performance dei mitici “absolute return” sono in territorio “verde” : sono state quindi positive. Ottimo! E quindi, ad inizio 2018, in previsione di un anno che si è poi rivelato difficile per i mercati (9 su 10 tipologie di investimento hanno dato performance negative, sono “in rosso” nell’ultima colonna) , l’investitore previdente avrebbe logicamente  smobilizzato tutti i banali investimenti legati ai mercati per lanciarsi nel magico mondo del “ritorno assoluto”. 

Consuntivo a fine 2018? Una perdita di poco inferiore al 4%. 

Ma come? Proprio nell’anno in cui i mercati diventano difficili e negativi, proprio in questo anno cruciale i prodotti absolute return falliscono l’obbiettivo? Cioè, proprio quando serve essere “sganciati dai mercati” la performance è invece negativa, come quella della maggior parte dei mercati? 

In effetti a ben guardare la tabella si scopre che anche in altri anni difficili (2008 e 2011) i prodotti absolute return hanno deluso le aspettative.
Viene un sospetto , acuito da questo grafico :


Il grafico mette in relazione la performance annua dei fondi absolute return (asse delle ordinate) con la performance media di tutte le asset class (quindi di tutte le categorie di investimento) nello stesso anno (asse delle ascisse).

La conclusione non è entusiasmante : la performance dei prodotti absolute return è pari alla metà della performance media dei mercati con l’aggiunta di un misero 0,4%. 

Questo significa che mentre i mercati vanno bene i prodotti “absolute return” seguono, demoltiplicata, la sorte positiva dei mercati. Ma allo stesso modo la seguono quando i mercati vanno male, proprio quando dovrebbero essere messi alla prova. E il problema è che la correlazione tra la performance media dei mercati e la performance degli “absolute return” è positiva, e pure alta (0,83)!

 Insomma, i prodotti a ritorno assoluto hanno anch’essi beneficiato di anni di mercati diffusamente generosi : hanno quindi potuto fregiarsi di performance storiche (quasi) sempre positive nell’ultimo decennio. Ma quando il vento è cambiato hanno faticato non poco a tenere fede alle loro promesse.

 Chiaramente i valori medi possono nascondere degli “outliers”. Ci saranno quindi certamente dei gestori “a ritorno assoluto” molto brillanti che hanno saputo destreggiarsi con abilità anche in mercati negativi. Ma si tratta di eccezioni, compensate comunque da gestori che hanno invece performato male sia col bello che con il cattivo tempo. Non basta l’etichetta “absolute return” per avere la garanzia di rendimenti positivi comunque vadano le cose.  E, per citare nuovamente la grande massima di Buffett : quando la marea scende scopri chi stava facendo il bagno senza il costume. 

La caccia alla pietra filosofale della gestione continua.  

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