Tutto su...tutto giù!


Alcuni mesi fa notavo (il link al pezzo è questo ) che l'ultimo trimestre del 2014 e il primo del 2015 avevano visto una impressionante e felice combinazione di performance positive tra i tre motori di un portafoglio. Azioni, obbligazioni e valuta estera avevano tutti e tre insieme contribuito positivamente e i portafogli "bilanciati" avevano goduto di una combinazione astrale eccezionale.

Un po' nella stessa direzione va un articolo di Gillian Tett sul Financial Times del 9 ottobre. Prendendo spunto dal Financial Stability Report del FMI , riflette sulle possibili motivazioni alla base di un preoccupante fenomeno che ha coinvolto i mercati negli ultimi anni : l'aumento della correlazione tra attività finanziarie.



Al di là delle ragioni teoriche, ci sono alcune importanti implicazioni pratiche di questo fenomeno.

In primo luogo i mercati degli asset "non risk free" dovrebbero cominciare ad incorporare un premio al rischio crescente per tenere conto della minor liquidità. Se infatti tutti si muovono in sintonia, anche volumi potenziali elevati su un mercato in realtà si traducono in pochi scambi effettivi dato che tutti sono sempre "dalla stessa parte". E questo è tanto più valido quanto più i movimenti dei prezzi sono ampi, ampiezza alla quale contribuisce proprio la carenza di liquidità nei momenti cruciali. Lo sanno bene gli investitori in corporate bonds negli ultimi mesi.




In secondo luogo, ed è una implicazione del primo, gli "asset risk free" renderanno sempre meno essendo l'unica asset class in grado di schivare le bufere dei mercati,

In terzo luogo  entra in crisi la logica alla base dei portafogli "bilanciati", secondo cui a diverse fasi del ciclo economico corrispondono performance diverse delle diverse asset class (mercati azionari positivo nelle fasi di espansione e mercati obbligazionario positivi nelle fasi di recessione; e viceversa).

In quarto luogo cambia la modalità di gestione dei portafogli. Se "tutto sale e tutto scende" insieme, a poco servono grandi risorse investite nella ricerca e nella analisi delle singole asset class e dei singoli titoli.Tanto poi, avere in portafoglio le Apple o dei titoli di stato tedeschi cambia poco : la vera differenza la fa l'essere investiti o l'essere liquidi. Se così fosse diventerebbe cruciale riuscire ad anticipare i cambi di umore dei mercati, scivolando fuori dagli investimenti con rapidità prima che la marea si abbassi di colpo.

Ma non mi affretterei a sostenere che i futuri grandi asset manager si dovranno basare più sul supporto di psicologi e psicanalisti ed esperti di "psicologia delle masse" che su quello di macroeconomisti o analisti finanziari.

Le prospettive sulla correlazione tra le diverse attività finanziarie cambiano a seconda dell'orizzonte temporale su cui sono misurate. Quanto più l'orizzonte è breve, tanto più la correlazione è elevata. Ma se un investitore ragiona su un periodo medio-lungo (e specialmente se ha i nervi abbastanza saldi per superare periodi di forte volatilità dei mercati e di potenziali forti minusvalenze) puo' ancora fare affidamento sulla analisi micro e macroeconomica e su una diligente applicazione dei concetti alla base della gestione di portafoglio.

Viviamo in tempi eccezionali (devo "pagare" per investire in titoli di stato se la scadenza è inferiore ai 2-3 anni?), ma aspetterei un po' prima di buttare tutto a mare rischiando che , insieme all'acqua sporca, voli via anche il bambino.



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